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Dr. Domenico Fiore: studi e ricerche sulla pertosse Dr. Domenico FIORE
V.le Madonna delle Grazie, 17
35028 Piove di Sacco (Padova)
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A U T O  I M  M U N I T À

ATTENZIONE: Un dettagliato aggiornamento della patogenesi delle malattie autoimmuni e la presentazione di un dimostrativo caso clinico sono disponibili in questa pagina

ATTENZIONE: Un riassunto di questo testo è disponibile a questa pagina

Per impostare il presente studio su quanto di definitivo (dimostrato) si conosce dell'eziopatogenesi dell'autoimmunità in generale, ripartiamo dalla Sclerosi Multipla (SM); malattia nella quale, di volta in volta sono stati chiamati in causa: autoimmunità, virus, mimetismo molecolare, pluralità eziologica.  L’epidemiologia della Sclerosi Multipla dimostra che all’insorgenza della malattia concorrono un fattore ambientale (certamente un agente infettivo) e un fattore individuale (1).  Quasi tutti i virus noti sono stati incriminati come presunti agenti eziologici della SM: tutti sono stati assolti, quantomeno per insufficienza di prove (2 - 3). Una omologia tra epitopo dominante della proteina basica della mielina ed alcuni epitopi batterici  o virali e l’insorgenza di ricadute post-infettive  nella  SM  hanno fatto attribuire importanza patogenetica al mimetismo molecolare (3). Omologie tra epitopi di Specie differenti della Scala Biologica sono abbastanza diffuse in natura (4), ma il meccanismo immunologico del mimetismo molecolare è solo ipotizzato in patologia umana (5), non è mai stato dimostrato in SM (6).  Spesso, in letteratura (7 -8), la SM viene definita genericamente “malattia autoimmune”;  ma  neanche l’autoimmunità da mimetismo molecolare è mai stata dimostrata in natura (9). La possibilità, spesso considerata in letteratura, che alla genesi della malattia concorrano più fattori infettivi deriva dalla constatazione che nella SM:  - si possono trovare, nello stesso paziente, IgG sieriche e liquorali contro parecchi agenti infettivi  (soprattutto virali);  - sono di comune osservazione le ricadute post-infettive.  La presenza, nello stesso paziente, di anticorpi specifici contro parecchi agenti infettivi si spiega facilmente con il difetto della barriera muco-ciliare (porta aperta alle infezioni) e con il forte potere mitogeno e attivatore policlonale aspecifico timo-indipendente delle tossine delle Bordetelle (BB). Nessun altro agente patogeno, batterico o virale, ha capacità attivatrice policlonale aspecifica tale da giustificare la presenza di titoli elevati di anticorpi anti-BB; tanto meno delle IgM, facilmente dimostrabili nelle forme cronico-evolutive. Queste considerazioni valgono anche per i virus recentemente chiamati in causa (10 - 11 - 12 - 13):  Coronavirus, virus di Epstein-Barr, HTLV-1, Theiler’s virus, Herpes-virus 6.  Del resto, gli stessi “Accusatori” affermano testualmente: «However,  no virus to date has been definitively associated with this disease (11  e che «Perciò, la speranza di  trovare il  virus che scatena la SM può restare per sempre non soddisfatta (12)». D'altra parte, le encefaliti virali sono caratterizzate da lesioni specifiche neuronali e interessano elettivamente la corteccia ed i lobi fronto-parietali (14) quindi i virus, nella SM, agirebbero solo per mimetismo molecolare (meccanismo che non è mai stato dimostrato). Le ricadute post-infettive nella SM non esprimono pluralità eziologica; confermano che diversi fattori ambientali (specie le affezioni acute delle vie respiratorie), interferendo con l’integrità della barriera muco-ciliare (BMC), favoriscono le re-infezioni e il prolungato passaggio nel sangue delle tossine pertussiche (conseguente ricaduta SM).

Per studiare l'autoimmunità, sono partito dalla SM perché questa malattia è comunemente considerata autoimmune (malattia demielinizzante) e viene abitualmente spiegata come dovuta ad una "aspecifica" attivazione sistemica delle cellule immunocompetenti, che poi, per motivi non spiegati, andrebbero ad aggredire il sistema nervoso centrale (SNC).

Dell'autoimmunità in generale, si dice (15): «La patologia autoimune è caratterizzata o dalla produzione di anticorpi che reagiscono contro i tessuti dell'ospite o dalla presenza di cellule T effettrici che hanno reattività contro peptidi propri dell'ospite e, dato che la risposta cellulare B, nell'Uomo, richiede generalmente l'aiuto di cellule T-inducer, una risposta autoanticorpale delle cellule B implica automaticamente un alterato controllo immunitario da parte delle cellule T (15) ».

Avendo trovato in diversi gruppi di pazienti SM una tossi-infezione in atto da Bordetella Pertussis (16), per verifica/controllo ho ricerato gli anticorpi anti-Bordetella Pertussis in diversi pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) o da altre neuropatie senza placche (55 casi), gammapatie monoclonali, GMUS (2 casi), miastenia grave (4 casi),  LES (1 caso):  tutti sono risultati affetti da tossi-infezione pertussica in atto, spesso sostenuta da BP in fase-S (fase I), cioè sostenuta da batteri virulenti e contagiosi.

Studiando la miastenia grave (MG), ho evidenziato il parallelismo immuno-patologico della MG con la SM (17).  Rivisitando le tireopatie mi ha sorpreso la notevole somiglianza delle lesioni anatomopatologiche della Tiroide nel m. di Basedow e nella tiroidite di Hashimoto con quelle caratteristiche del Timo nella Miastenia Grave.  Nel morbo di Basedow: «Le alterazioni intratiroidee note da più tempo consistono nella presenza di infiltrati linfoplasmocitari organizzati in centri germinativi nel contesto della ghiandola affetta da morbo di Basedow (18)»; nella tiroide (con microscopia ottica ed elettronica, immunofluorescenza, anticorpi monoclonali) si possono dimostrare (18): macrofagi, cellule T citotossiche, linfociti killer fissati ad anticorpi, linfociti B con immunoglobuline di superficie o in fase di sintesi anticorpale, depositi di immunocomplessi circolanti, anticorpi fissati sulle cellule.  «La tiroidite di Hashimoto (tiroidite linfoplasmocitaria, struma linfomatoso, gozzo linfoadenoideo) è una patologia infiammatoria cronica della tiroide di frequente riscontro, nella quale i fattori autoimmunitari rivestono un ruolo preminente. L'eziologia autoimmune è dimostrata dall'infiltrato linfocitario e dalla presenza nel siero di concentrazioni elevate di immunoglobuline e di anticorpi contro numerosi costituenti del tessuto tiroideo.… La tiroidite di Hashimoto coesiste spesso con altre patologie di presunta origine autoimmune quali l'anemia perniciosa, la sindrome di Sjogren, l'epatite cronica attiva, il lupus eritematoso sistemico, l'artrite reumatoide, il morbo di Addison non tubercolare, il diabete mellito e lo stesso morbo di Basedow-Graves. Queste alterazioni, compresa quella di Hashimoto, insorgono frequentemente nei familiari dei pazienti con malattia di Hashimoto (19)».

 

                                                          Tutte coincidenze ?

 

Nelle malattie autoimmuni dell'Uomo si distinguono (20):

·      Forme organo-specifiche

·      Forme intermedie

·      Forme non organo-specifiche

 

Le forme organo-specifiche interessano soprattutto:

-         Tiroide  (deriva dall'Intestino cefalico)

-         Stomaco  (deriva dal Tubo gastro-enterico primitivo)

-         Pancreas  (deriva dal Tubo gastro-enterico primitivo)

-         Timo   (deriva dall'Intestino cefalico)

-         Paratiroidi  (derivano dall'Intestino cefalico)

-       Surrene  (la 'corticale' deriva dal mesoderma celomatico delle creste urogenitali; la      'midollare' deriva dal neurectoderma delle creste neurali)

Le principali forme intermedie comprendono:

-         Pemfigo

-         Oftalmia simpatica e uveite facogenica

-         Cirrosi biliare

-         Sclerosi Multipla o altre disfunzione del SNC (?)

-         Colite ulcerosa (?)

-         Malattia di Sjogren

-         Miastenia grave

Le forme non organo-specifiche comprendono:

-         Lupus Eritematoso Sistemico (LES) e discoide

-         Connettivite mista

-         Dermatomiosite

-         Sclerodermia

-         Artrite Reumatoide (AR).                

 

L'elenco delle forme organo-specifiche (incompleto, perché non menziona la SM, comunemente definita "malattia autoimmune demielinizzante del SNC") si apre con le malattie della Tiroide; perciò, ripartiamo dalle malattie della tiroide e vediamo le associazioni di tireopatie con altre malattie autoimmuni (21). È ben documentata l'aumentata frequenza di gastrite atrofica e anemia perniciosa nei pazienti con tireopatie autoimmuni, tanto che è stato proposto per questa condizione il termine di malattia tireogastrica (personalmente, in oltre 300 pazienti ho riscontrato che nella SM è quasi costante la triade: Placche nel SNC, Rino-sinusite cronica, Gastro-duodenite cronica).  Un quarto dei pazienti con tiroidite di Hashimto o morbo di Basedow ed un terzo di quelli con mixedema idiopatico presenta anticorpi circolanti anti-cellule parietali gastriche, mentre anticorpi anti-Tireoglobulina e/o anti-Microsomi di tiroide (anti-Tg e/o anti-M) sono presenti in circa il 30 % dei pazienti con anemia perniciosa e/o gastrite atrofica. Seppure con minore frequenza, altre malattie autoimmuni organo-specifiche si possono associare alle tireopatie, come il diabete di tipo I, la miastenia grave, il morbo di Addison idiopatico, spesso sotto forma di sindromi polighiandolari autoimmuni (21, paragrafo 26.4.4). Spesso sono presenti gli autoanticorpi caratteristici di queste malattie in assenza di manifestazioni cliniche manifeste. Altri disordini autoimmuni che possono essere associati alle tireopatie sono la porpora trombocitopenica idiopatica, l'anemia emolitica acquisita, la vitiligine e la sindrome di Sjogren.  Nessuna chiara associazione si osserva invece sia a livello clinico che sierologico tra tireopatie autoimmuni e malattie autoimmuni non organo-specifiche come l'artrite reumatoide, il Lupus Eritematoso Sistemico e altre collagenopatie.

 

Queste osservazioni sono interessanti, ma si potrebbe assegnare loro un corretto significato ezio-patogenetico solo precisando se le descritte 'associazioni'  di malattie autoimmuni si verifichino tra: - consanguinei non conviventi;  -  conviventi non consanguinei.

 

Ripartiamo dalla SM. 

Dalla patologia sperimentale sappiamo che in una data Specie animale (ad esempio, nei Ratti), l’encefalite allergica sperimentale (EAS), nella forma considerata modello sperimentale della SM umana, può essere indotta solo nelle razze con astrociti produttori di Antigeni-HLA di II classe (ratti Lewis) (22); non si sviluppa nelle razze che hanno gli astrociti non-produttori di Antigeni-HLA di II classe (Surmolotti, comuni topi di chiavica). È stato anche visto che anticorpi rivolti contro gli Antigeni-HLA di II classe inibiscono l’insorgenza dell’EAS (22) e che, nell'Uomo, molecole di adesione solubili (s-ICAM) si trovano nella SM, non si trovano nelle neuropatie non-infiammatorie (ad es. SLA) (23 -24)

 

Dalle mie ricerche è emerso che la SM è una malattia tossi-infettiva in cui:

-     il fattore ambientale è costituito dalla Bordetella Pertussis;

-         i fattori individuali sono:  a) un difetto della barriera muco-ciliare (fattore sine qua non);   b) il fenotipo astrociti produttori di antigeni-HLA di II classe.

Il difetto di barriera può essere 'stabile' (allergie ad inalanti, rino-sinusiti croniche) o 'transitorio' (infezioni virali delle alte vie respiratorie, interventi chirurgici sul setto nasale, traumi naso-facciali, manovre anestetiche o endoscopiche coinvolgenti le prime vie respiratorie). Il carattere  'astrociti produttori di antigeni-HLA di II classe'  condiziona la precipitazione dei complessi immuni circolanti nei piccoli vasi del sistema nervoso centrale (placche attorno alle pre-venule). La funzione immunologica specifica degli astrociti è quella di "Antigen PresentinrCells" (APCs), cellule capaci di processare gli antigeni estranei e presentarli nel contesto degli Antigeni HLA di II classe ai linfociti-T e ai macrofagi. Studiando le neuropatie da Bordetella Pertussis emerge che, nell'Uomo e negli animali, le placche (lesioni organo-specifiche) insorgono solo nei soggetti con astrociti produttori di Antigeni-HLA  di II classe (Ags-HLA di II cl.); nei soggetti con  'astrociti non-produttori di antigeni-HLA di II classe'  non si ha precipitazione dei complessi immuni nel sistema nervoso centrale, i neuroepiteli vengono attaccati direttamente dalle tossine pertussiche (neuropatie senza placche).

 

Queste osservazioni dimostrano che, nella patogenesi dell’EAS, della SM e della SLA, l’espressione degli Antigeni-HLA di II classe (Ags-HLA di II cl.) da parte degli astrociti e l'espressione di molecole di adesione da parte dell’endotelio microvasale hanno ruoli importanti, determinanti; dimostrano che, se le molecole di adesione solubili si trovano nella SM mentre non si trovano nelle neuropatie senza placche (SLA), anche nell'Uomo gli astrociti possono essere produttori, o non-produttori, di Antigeni-HLA di II classe. Studiando la SM, abbiamo visto che la Neurite Ottica è dovuta alla precipitazione dei complessi immuni circolanti (Tossine-BP/anticorpi specifici) nei vasi del nervo ottico, nei quali, per la forma a spirale dei vasi e per la lunghezza eccessiva del nervo (lunghezza di 5-6 mm maggiore della distanza tra foro osseo e polo posteriore del globo oculare), è frequente un rallentamento del flusso ematico. Riassumendo, nella patogenesi dell'EAS, della SM e della SLA emergono fattori ambientali, individuali e anatomo-funzionali:

-         Il fattore ambientale è costituito dalla Bordetella Pertussis;

-         I fattori individuali sono:  a) un difetto della barriera muco-ciliare (condicio sine qua non);  b) il fenotipo astrociti produttori di antigeni-HLA di II classe.

-  Fattori anatomo-funzionali: negli animali di laboratorio e nell'Uomo abbiamo visto che gli astrociti (cioè le APC specifiche del tessuto nervoso centrale) possono essere produttori, o non produttori, di Ags-HLA di II classe e abbiamo visto che, nel sistema nervoso centrale, i complessi immuni circolanti precipitano nei vasi a flusso ematico rallentato, ma solo se l'endotelio microvasale espone le molecole di adesione.

 

Vediamo in generale (nei vari organi ed apparati) quali fattori condizionano la precipitazione dei complessi immuni circolanti.

Dall'immunologia (25) sappiamo che i CIC precipitano influenzati da diversi fattori:

Fattori locali tessutali. Si è visto che la patologia da immunocomplessi (IC) colpisce in maniera peculiare distretti che presentino caratteristiche anatomiche, fisiologiche e fisiche particolari.

Fattori anatomici. Struttura microvascolare. Gli endoteli vascolari possono essere di tre tipi: continuo (arterie, capillari dei muscoli); fenestrato (vene capillari e post-capillari di alcuni distretti, tra cui i corpi ciliari, i glomeruli, la sinovia e i plessi corioidei); discontinuo (capillari del fegato, milza e midollo osseo). Gli endoteli continui hanno una membrana basale continua che impedisce il trasporto di grosse molecole se non per pinocitosi. Endoteli fenestrati variano molto di spesore e presentano finestrature circolari del diametro di 300-1000 Å, particolarmente numerose a livello glomerulare. Nei capillari discontinui la membrana basale non è distribuita uniformemente e pertanto può essere attraversata da grosse molecole o anche da cellule.

Membrana basale. Può essere di due tipi, vascolare ed epitelioide. La membrana basale vascolare è uno strato continuo di spessore variabile fra 300 e 5000 Å situata nella porzione esterna dell'endotelio capillare. Essa è attraversata liberamente da piccole molecole (< 50.000 p.m.), ma non da quelle di più grandi dimensioni (per esempio, ferritina  che ha 480000 p.m.).  La lamina elastica interna delle arterie e delle venule impedisce il passaggio di molecole di alto peso molecolare (> 19 S).  La membrana basale epiteliale è situata in alcuni distretti (glomeruli, polmoni, cute, corpo ciliare, plessi corioidei) ed impedisce il passaggio di grosse molecole. Immunocomplessi di grandi dimensioni tendono a depositarsi su questa membrana basale.

Matrice interstiziale. La matrice interstiziale può favorire l'intrappolamento di immunocomplessi a livello di alcuni distretti come la sinovia, l'iride e la cute. Ad esempio, nella sinovia l'acido ialuronico che ne è il componente fondamentale agisce come filtro molecolare. E'  stato supposto che tale filtro possa favorire la localizzazione e il successivo intrappolamento di immuniocomplessi di particolari dimensioni.

Fattori  Fisiologici.  Alcuni fattori fisiologici sembrano favorire la localizzazione  di IC:

- Una aumentata permeabilità vasale, che nelle malattie da IC sembra dipendere fondamentalmente da una liberazione di amine vasoattive da parte delle piastrine. Si è visto infatti che l'introduzione di un antigene in animali da esperimento induce tra l'altro la formazione di anticorpi omocitotropi di tipo IgE che aderiscono alla parete dei basofili circolanti. In presenza di antigene i basofili liberano un fattore solubile denominato PAF (platelet activating factor) che provoca accumulo di piastrine e liberazione dalle stesse di amine vasoattive (Istamina, serotonina, ecc) con conseguente aumento della permeabilità vasale.

-  Un alterato flusso ematico. E' infatti interessante notare che molti dei tessuti sede di una patologia da IC, quali l'uvea, i glomeruli, i plessi corioidei e la sinovia hanno un flusso ematico elevato per unità di massa.

-  Produzione di ultrafiltrato.   E'  noto che i tessuti che producono un ultrafiltrato (sinovia, plessi corioidei, corpo ciliare, glomeruli) sono anche più frequentemente sede di deposizione di IC.

Fattori fisici. Alcuni fattori fisici predispongono particolarmente alla localizzazione di ICC. Tra questi, sono di particolare importanza i fattori emodinamici e la temperatura locale.  E'  infatti noto che gli IC si localizzano dove il flusso rallenta (per esempio filtro renale) o diventa vorticoso (per esempio, biforcazione delle arterie), o dove esistono più alti valori pressori (per esempio, arti inferiori). Inoltre, una bassa temperatura può favorire la localizzazione dei complessi immuni in vario modo.  Da una parte, può modificare in alcuni casi la conformazione e quindi le proprietà biologiche dei complessi, come avviene per alcune crioglobuline che fissano il Complemento solo a temperature inferiori a quella fisiologica; dall'altra, le basse temperature diminuiscono il flusso locale ematico favorendo così un contatto più prolungato fra la parete vasale e fattori circolanti. Infine, costituisce un importante fattore favorente la precipitazione degli IC la presenza di una lesione tessutale precedente, in quanto causa un aumento della permeabilità vascolare con conseguente accumulo di IC. Questo spiega come nei modelli sperimentali la quantità di IC che si deposita nei glomeruli aumenta con il passare del tempo.

Fattori immunologici. «La localizzazione tessutale di IC può essere favorita dalla presenza sulle cellule stesse di recettori per il Complemento (C3bi, C3d, C1q) o per le immunoglobuline (Fc).  Il ruolo svolto da tali recettori nel determinare una concentrazione elettiva di complessi è tuttora da chiarire.  E'  interessante notare, tuttavia, che recettori per il C3b e per Fc sono stati individuati a livello di organi  cosiderati  "bersaglio"  delle malattie da IC quali glomeruli renali, plessi corioidei, sinovia, cute, polmoni, nervi periferici, uvea, endotelio vasale.  In conclusione, quindi, mentre la formazione di IC è e rimane un evento fisiologico, il loro potenziale patogeno si deve considerare come la risultante di un equilibrio instabile fra un numero enorme di fattori concorrenti.  Questo spiega da una parte come uno stesso meccanismo patogenetico possa dar luogo a così diverse espressioni cliniche; dall'altro come caratteristica comune di tutte queste affezioni sia un decorso caratterizzato da periodi spontanei di remissioni ed esacerbazioni».

 

"Adesione  Stabile"  e  Complessi  Immuni  Circolanti

Fin qui, parlando della precipitazione dei complessi immuni circolanti, ho attribuito alle "molecole di adesione"  (MA) un ruolo determinante, senza mai entrare in particolari.

Vediamole meglio (26 - 27 - 28).

L'adesione dei leucociti all'endotelio in siti di flogosi si estrinseca in un processo multifase coinvolgente una fase iniziale di legame instabile mediato dalle selectine (la cui espressione sull'endotelio è indotta dai mediatori delle flogosi), seguita dall'attivazione delle B2-integrine leucocitarie indotta da mediatori pro-infiammatori prodotti dall'endotelio o dai tessuti circostanti infiammati (la funzione delle B2-integrine è quella di mediare, cioè, di "preparare e favorire" l'adesione stabile dei leucociti all'endotelio). Lo sviluppo di una adesione stabile richiede un legame tra LFA-1 (Leucocyte Function-associated Antigen), molecole di adesione leucocitarie, e ICAMs (Inter-cellular adhesion molecules), molecole di adesione endoteliali; oppure, tra VLA-4 (very late activation antigens), molecola di adesione delle cellule immunocompetenti circolanti, e VCAM-1 (vascular celle adhesion), molecole di adesione dell'endotelio. Quindi, la "cascata di attività adesive" porta ad una adesione stabile (strong adhesion) solo se è mediata dai sistemi LFA-1/ICAMs  e/o  VLA-4/VCAM-1.

Le molecole LFA-1 e VLA sono espresse dai linfociti-T-attivati quando in un sito d'infiammazione, nelle "pieghe" degli Antigeni-HLA di II classe, venga loro presentato un antigene estraneo processato.  La presentazione degli antigeni estranei ai linfociti-T è operata da cellule, specifiche dei vari tessuti, denominate Antigen Presenting Cells (APCs) ed è subordinata ad una adesione specifica dei linfociti-T alle APCs.  La specificità della adesione dei linfociti-T alle cellule APCs  è mediata dal "complesso TCR-CD3"; cioè, dal compleso costituito da CD3 (antigene di superficie che caratterizza lo stadio di differenziazione cellulare, "Cluster of Differentiation") e dal T-Cell Receptor dei linfociti-T. Con questo "complesso" il linfocita-T riconosce il peptide antigenico estraneo nel contesto degli Antigeni-HLA di II classe esposti dalle APCs. Solo se c'è stato questo riconoscimento, il linfocita-T espone anche la molecola di adesione LFA-1 e si arriva alla adesione stabile (che può essere bloccata da mAbs (anticorpi monoclonali) rivolti contro questa integrina o contro i suoi ligandi (ICAMs). La funzione principale della Alfa-4 integrina (detta anche: VLA-4 = very late activation antigens), presente sulle cellule immunocompetenti, consiste  nel legarsi ad una proteina di superficie presente sulle cellule endoteliali, la VCAM-1 (vascular cell adhesion molecule-1, della superfamiglia delle Immunoglobuline).  In pratica, il legame dell'alfa-4 integrina alla VCAM-1 fa 'aderire' le cellule immunocompetenti circolanti (linfociti e macrofagi) agli endoteli vasali.

Che proprio l'espressione degli antigeni-HLA di II classe e la  'contestuale'  presentazione dell'antigene estraneo da parte degli astrociti ai linfociti-T siano i fenomeni fisiopatologici soggiacenti alla precipitazione dei CIC è confermato dall'osservazione che le sICAM, (molecole di adesione intercellulare che sono prodotte dall'endotelio solo nella fase finale della "adesione stabile") si trovano soltanto nella SM (non si trovano nelle neuropatie senza placche, in cui non si arriva alla adesione stabile e non si ha precipitazione di CIC). Inversamente: se gli astrociti non sono produttori di antigeni-HLA di II classe, non si arriva alla adesione stabile e i complessi immuni circolanti non precipitano nel sistema nervoso centrale (non si formano placche).

 

Dopo queste premesse, vediamo se negli organi più frequentemente colpiti da patologie organo-specifiche siano presenti condizioni considerate "favorenti" la precipitazione di eventuali complessi immuni circolanti.

 

               Struttura  dei  Principali  Organi  in  Discussione.

Tiroide.  I follicoli sono tappezzati da epitelio monostratificato e sono circondati da una sottile lamina basale e da un ricco plesso capillare sanguigno e linfatico (29).

Paratiroidi. Ogni lobulo è costituito da isolotti o da cordoni epiteliali anastomizzati, frammisti a numerosi sinusoidi  (30).

Pancreas. Le Isole di Langerhans derivano dagli abbozzi epiteliali che danno origine anche ai condotti escretori e agli adenomeri del pancreas esocrino. Dalle pareti dei canali (da cui derivano anche gli acini)  si formano zaffi cellulari solidi di cellule che contengono granuli (di secrezione). Nei piccoli cordoni di cellule con granuli sono presenti numerosi capillari sanguigni. Infine i cordoni, dopo aver formato le unità insulari, scompaiono (31).

Timo. Il Timo è diviso in lobuli, entità non completamente circondate da connettivo, fusi tra loro a livello della sostanza midollare. Nel lobulo, la  "corticale" e la  "midollare" sono composte dalle medesime cellule: cellule epiteliali e linfociti.  Le cellule epiteliali hanno aspetto stellato e rivestono dall'esterno l'endotelio dei capillari sanguigni e la superficie interna della capsula e dei setti fibrosi. Raramente le cellule epiteliali vengono a contatto con le fibre reticolari che formano lo stroma collageno del Timo.  Si ha la "barriera emato-timica": - endotelio; - lamina basale dell'endotelio; - lamina basale dell'epitelio; - epitelio. Tra le due lamine basali si trovano fibre reticolari, macrofagi e linfociti in transito (32). 

Stomaco (33). La parete dello stomaco risulta costituita da quattro tonache. Dall'interno all'esterno abbiamo: mucosa, sottomucosa, muscolare, sierosa.  La Mucosa può essere considerata una grossa ghiandola sviluppata in superficie; è rivestita da epitelio prismatico semplice che elabora la sostanza mucoide. Ad occhio nudo vi si distinguono le aree gastriche (rilevate), delimitate dalle pliche o creste villose. Tra le creste sono comprese piccole nicchie  (fossette gastriche),  nel cui fondo sboccano le ghiandole gastriche. Queste sono tutte di tipo tubulare  e sono rivestite da epitelio.  La Sottomucosa è costituita da uno spesso strato di connettivo lasso, contenente i vasi di un certo calibro: costituisce uno strato vascolare. La tonaca Muscolare e la Sierosa servono a far progredire il bolo alimentare e, rispettivamente, a consentire la motilità dello stomaco rispetto agli organi vicini. «I vasi arteriosi si addentrano nella sottomucosa, dove formano un plesso, dal quale partono i rami per la tonaca muscolare e, soprattutto, quelli per la mucosa che dcorrono tortuosi, per potersi adeguare ai diversi gradi di distensione della parete ».  

 

Da questi riassunti emerge che tutti gli organi specificamente auto-aggrediti hanno caratteristiche anatomo-funzionali comuni (i principali fattori favorenti la precipitazione dei CIC, sopra ricordati, li ritroviamo in tutti gli organi colpiti da autoimmunità):

-         una ricca rete vascolare costituita da vasi tortuosi e/o sinusoidi, in cui saranno frequenti e consistenti i rallentamenti del flusso sanguigno;

-         un tessuto organo-specifico, in cui è ben rappresentato l'epitelio, normalmente non  "contattato" dalle cellule immunocompetenti circolanti.

Studiando la sclerosi multipla e le neuropatie senza placche (SLA) abbiamo visto che fattore individuale determinante la forma clinica della malattia è il fenotipo delle APCs specifiche del SNC (astrociti produttori, o non-produttori, di Ags-HLA di II cl.).

     Per tornare all'autoimmunità organo-specifica, vediamo se si conoscano (eventualmente, cosa si sappia delle) APC residenti in organi ed apparati diversi dal SNC.

Dal dizionario enciclopedico Zanichelli "Biologia e Medicina" riporto: «"Cellule accessorie" dei linfociti T: elaborano l'antigene e lo presentano sulla loro superficie perché possa essere riconosciuto dai linfociti T. Sono tali i linfociti B, i macrofagi e le cellule dendritiche dei linfonodi e della milza. Tali cellule operano una parziale idrolisi dell'antigene i cui frammenti, a seconda che l'antigene sia di origine endogena o esogena, viene esposto sulla superficie cellulare insieme a proteine MHC (complesso maggiore di istocompatibilità) di I o di II classe, rispettivamente. I complessi "proteine MHC di II classe-frammenti antigenici" vengono quindi riconosciuti dai linfociti T-helper, mentre i complessi con le proteine MHC di I classe vengono riconosciuti dai linfociti T-killer. I linfociti T risultano in tal modo attivati e svolgono la loro azione di stimolazione sui linfociti B (gli helper) o citotossica (i killer) ». Nello stesso Dizionario alla voce "Cellula Dendritica" leggiamo: « Cellula specializzata della linea monociti/macrofagi addetta alla processazione e presentazione dell'antigene ai linficiti B o T.  E'  provvista di estroflessioni protoplasmatiche (dendriti) che si collegano con i linfociti nei linfonodi e nella milza. I macrofagi e le cellule dendritiche follicolari presentano direttamente gli antigeni ai linfociti B,  mentre le cellule dendritiche che presentano l'antigene ai linfociti T  sono corredate di molecole HLA di II classe ». 

Dall'immunologia sappiamo che (34) «La differenza più interessante che distingue i linfociti T dai B  riguarda forse il diverso modo che questi hanno di riconoscere gli antigeni. Infatti, mentre i linfociti B sono in grado di riconoscere e legare antigeni solubuili mediante le immunoglobuline (di membrana o solubili), i linfociti T legano gli antigeni solo se associati a proteine della membrana cellulare. Il sistema di riconoscimento dei 'T-cell Receptor' (TCR) può infatti funzionare solo se l'antigene viene precedentemente inglobato da un'altra cellula, chiamata cellula che presenta l'antigene o APC, capace di frammentarlo in peptidi molto piccoli di circa otto-quattordici amminoacidi che si associano poi all'interno della APC a proteine trascritte dai geni del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Una volta avvenuta questa associazione, il complesso bi-molecolare "peptide-MHC" viene trasportato alla superficie della cellula e in questa sede può essere riconosciuto dai linfociti T, attraverso il loro TCR; questo comporta che il riconoscimento di una certa specificità antigenica passa obbligatoriamente attraverso una stretta interazione fisica fra le due cellule in gioco permettendo, per esempio, ad un linfocito T-citotossico, non solo di riconoscere ma anche di esplicare immediatamente sulla cellula bersaglio un'azione effettrice di citolisi».

Istiociti e Fagociti Mononucleati  (35) Il concetto dell'esistenza di un sistema cellulare funzionalmente unitario e differenziato nell'ambito dei tessuti connettivi, venne formulato per la prima volta da  Aschoff (1918-1924). Le ricerche precedenti avevano già permesso di individuare (nel connettivo in genere, nella polpa splenica e nel reticolo midollare) l'esistenza di speciali cellule di derivazione mesenchimale, dotate di attività fagocitaria e per le quali era già stato prospettato un intervento nei procesi di anticorpopoiesi.  Di importanza determinante si era dimostrato il metodo delle colorazioni intravitali, basato sull'iniezione di coloranti acidi a micella elettro-negativa (es: bleu pirrolo) nell'animale vivente.  La colorabilità vitale, cioè l'assorbimento delle micelle colloidali del colorante da parte delle cellule allo stato vitale e la successiva precipitazione di tali micelle nel citoplasma, venne concordemente considerata come l'equivalente di quell'attività fagocitaria che le stesse cellule manifestano sia nei confronti delle soluzioni colloidali elettronegative, sia delle sospensioni cellulari (batteri, eritrociti ed altre cellule).  Fu possibile formulare una prima divisione di cellule cromofile o granulopessiche (cioè capaci di colorarsi vitalmente e di accumulare per granulopessia il colorante) e cromofobe o non granulopessiche.  Elementi cellulari morfologicamente eterogenei e di diversa situazione topografica, ma collegati e definiti funzionalmente dalla comune proprietà cromofila e granulopessica, furono da Aschoff raggruppati in un vasto sistema, il  "sistema reticolo-endoteliale"  (S.R.E.).  Al SRE di Aschoff appartengono: le cellule reticolari; i reticolo-endoteli degli organi emolinfopoietici, dei capillari sinusoidali dei lobuli epatici (cellule di Kuppffer), del surrene e dell'ipofisi; nonché le cellule pirrolofile libere dei connettivi lassi (istiociti, clesmatociti, cellule migranti a riposo); gli splenociti e i monociti. Poiché il comportamento di queste cellule nei confronti delle colorazioni intravitali (facilità e rapidità nell'assumere il colorante, intensità della colorazione, grandezza dei granuli) non risultava uniforme, Aschoff ritenne giustficata la loro partizione in gruppi distinguibili in base alla differente attività granulopessica.  Nel primo gruppo, denominato "sistema reticolo-endoteliale in senso stretto" furono riuniti gli elementi ad attività granulopessica spiccata, cioè: le cellule del reticolo argentofilo della polpa splenica, dei cordoni e dei follicoli linfatici; i reticolo-endoteli dei seni linfatici linfoghiandolari, dei seni linfatici sanguigni della milza, dei capillari sinusoidali del fegato, del midollo osseo, della milza, del corticosurrene e dell'ipofisi.  In un secondo gruppo Aschoff comprese le cellule a debole attività granulopessica, vale a dire gli elementi pirrolofili e mobili dei connettivi lassi che non hanno alcun rapporto col tessuto reticolare - clasmatociti di Ranvier, istiocitidi Goldmann e di Kyono -  nonché gli splenociti ed i monociti fagocitanti del sangue circolante. I limiti stabiliti da Aschoff per il suo SRE furono ampliati a seguito delle osservazioni di Volterra con la dimostrazione che il connettivo reticolare, possedendo cellule proprie ed a carattere istiocitario, costituisce un complesso cito-stromale distribuito pressocchè universalmente nell'organismo. La costante presenza di cellule istiocitarie nelle avventizie peri-capillari costituiva il substrato anatomico atto a rappresentare in qualunque distretto il SRE.  Per il fatto che gli endoteli veri e propri dei vasi non posseggono carattere istiocitario e poiché le cellule del reticolo degli organi emolinfopoietici non sono endoteli, la denominazione di SRE apparve impropria e venne sostituita con quella, che sembrava anatomicamente più corretta, di  "sistema reticolo istiocitario"  (SRI  -  Volterra), la cui base anatomica è quindi rappresentata dal tessuto reticolare e dalle cellule istiocitarie ad esso proprie.  Nel SRI sensu stricto Volterra comprese le cellule del reticolo degli organi emolinfopoietici, gli endoteli dei sinuisoidi epatici, splenici, surrenali ed ipofisari e "le cellule del reticolo periferico", cioè le cellule avventiziali pericapillari e gi elementi omologhi delle guaine sarcolemmatiche e delle membrane basali sotto epiteliali; nell' SRI inteso in senso lato l'Autore incluse i clasmatociti del connettivo lasso. Rimanevano esclusi i fibrociti e le cellule endoteliali. Dopo verifiche e discussioni, si è arrivati a distinguere, per le caratteristiche morfologiche e per le attitudini funzionali, inclusi nel sistema SRE (in seguito SRI):

a)      cellule del reticolo propriamente dette, cioè quelle degli organi emolinfopoietici (midollo osseo, milza, linfoghiandole);

b)      reticolo-endoteli propriamente detti, cioè le  "littoral cells"  degli autori anglosassoni (cellule di Kupffer; cellule endotelioidi dei seni splenici, dei seni delle linfoghiandole e in genere dei sinusoidi, quali quelli dell'ipofisi anteriore, della midollare surrenale, ecc.);

c)      cellule avventiziali peri-capillari (a queste Volterra aveva aggiunto e omologato gli elementi istiocitari, per i quali vennero ripetutamente dimostrati rapporti con le membrane basali degli epiteli, le guaine sorcolemmatiche, il peri-nervio, le membranelle di connettivo reticolare del tessuto adiposo);

d)      clasmatociti di Ranvier o "ruhende Wanderzellen" di Maximow.

Rimanevano esclusi dal sistema i fibrociti e gli endoteli dei vasi sanguigni e linfatici.

Tutti gli elementi cellulari considerati nel SRE di Aschoff e nel SRI di Volterra riconoscono una comune origine embriologica dal mesenchima primitivo, il che costituisce un altro importante elemento di collegamento fra i vari tipi cellulari compresi nel sistema.

Elementi cellulari propri del sistema istiocitario (istiociti veri), a questo punto, sarebbero:

1)         le cellule del reticolo emopoietico, midollare e linfatico;

2)         i reticolo-endoteli propriamente detti, anche noti come  "cellule della sponda", del fegato principalmente (cellule di Kupffere), ma anche della milza, dei sinusoidi del midollo osseo, dei sinusoidi dei surreni, dei sinusoidi del pancreas e del Timo, dei sinusoidi del lobo anteriore dell'ipofisi;

3)         le cellule del reticolo periferico, cioè le cellule avventiziali peri-capillari; a queste cellule peri-capillari sono omologabili le cellule esistenti in rapporto ai sarcolemmi e alle membrane basali;

4)         i clasmatociti del sottocutaneo e dei connettivi in genere;

5)         i monociti del sangue circolante che possono passare dal sangue al connettivo e viceversa.

Accanto a questi gruppi di cellule esisterebbe il gruppo eterogeneo e male definito degli "istiociti facoltativi", quali le cellule endoteliali e i fibroblasti. 

Le cellule del sistema istiocitario (SI) si caratterizzerebbero per la loro capacità di immagazzinare sostanze coloranti vitali, di fagocitare sostanze non viventi omologhe ed eterologhe e germi patogeni viventi.  Le manifestazioni reattive delle cellule istiocitarie agli stimoli che le sollecitano consistono in primo luogo nel fenomeno dell'attivazione (passaggio dalla fase quiescente alla fase attiva), cui segue il fenomeno della proliferazione cellulare (che è funzione dell'elevata capacità di sintesi proteica delle cellule istiocitarie): a ciò deve aggiungersi la capacità citoblastica delle cellule istiocitarie attivate e proliferanti. Va tuttavia notato che negli anni più recenti le classiche vedute sul SI hanno subito profondi rimaneggiamenti sotto l'impatto delle nuove acquisizioni in tema di immunologia cellulare e soprattutto dell'introduzione nella ricerca citologica di metodologie sperimentali più raffinate e precise, che hanno consentito di chiarire in particolar modo la citogenesi e la citocinetica di importanti classi cellulari apparteneti al vecchio SI.  Nel 1969 (Leida) è stato proposto un nuovo sistema dei fagociti mononucleati con una nuova classificazione dei tipi cellulari in esso implicati, sulla base del loro elevato potere fagocitario e di un'unica derivazione da un precursore monocitario midollare. 

Se dal punto di vista morfologico tutti i tipi cellulari appartenenti al sistema dei fagociti mononucleati presentano talvolta ben pochi attributi in comune (per esempio: l'aspetto festonato della membrana, la capacità di emettere membrane, veli e microvilli citoplasmatici), invece secondo un criterio funzionale presentano una notevole capacità di aderire alle superficie di vetro ed un'intensa capacità fagocitaria (particolarmente di carattere immune) e pinocitaria, proprietà che cumulativamente forniscono un semplice mezzo per l'isolamento di queste cellule.  Gli studi di citocinetica mostrano  che a monte del sistema dei fagociti mononucleati esiste un unico precursore midollare, provvisoriamente identificabile con un promonocito, dal quale derivano i monociti che vengono immessi nel circolo periferico per  divenire, infine, fagociti tessutali. La sequenza differenziativa sarebbe la seguente:  Cellula staminale midollare (nel Midollo osseo) ® Pro-monocito ® Monocito ®  sangue periferico ® Fagociti tessutali (macrofagi).

Nei tessuti avremmo:

                      Tessuto connettivo (istiocito); Fegato  (cellule di Kupffer);

                     Polmone  (macrofagi alveolari); Milza  (macrofagi liberi e fissi);

          Linfonodi (istiociti e macrofagi liberi e fissi); Midollo osseo (istiociti e macrofagi);

          Cavità sierosa (macrofagi pleurici e peritoneali); Tessuto osseo (osteoclasti ?);

                                     Sistema nervoso (cellule della microglia ? ).

Queste le conoscenze "classiche".  Possiamo aggiungere che (36) « Oggi è noto che i monociti posono essere indotti a trasformarsi sia in cellule dendritiche, che attivano e disattivano il sistema immunitario, sia in macrofagi, spazzini che setacciano l'organismo per eliminare cellule morte e microrganismi patogeni ».

Le cellule dendritiche vengono classificate (37) in base alla funzione e alla localizzazione in:

1)         Cellule Dendritiche del sangue, dei tessuti: cellule di Langherans cutanee; Cellule Dendritiche delle vie respiratorie, della mucosa del tratto digestivo;

2)         Cellule indeterminate: nel derma, nella lamina propria delle mucose e delle sottomucose;

3)         Cellule a vela dei linfatici afferenti;

4)         Cellule interdigitate dei linfonodi regionali e delle strutture linfoidi attorno alle mucose;

5)         Cellule interstiziali di organi come rene, intestino, polmone, tiroide. 

 

Da quanto fin qui esposto sappiamo che:

-         nelle Specie animali studiate (topi, ratti, Uomo), gli astrociti (APC del tessuto nervoso centrale) possono essere produttori, o non-produttori, di Antigeni-HLA di II classe (Vedi: EAS, SM, SLA, Molecole di adesione nell'Uomo).

-         in tutti gli organi sono presenti cellule residenti dotate di capacità APC.

 

Non ho trovato in letteratura dati sul carattere "produttori o non-produttori di Ags-HLA di II cl." delle APC dei vari organi; ma:

1)         «Gli antigeni HLA di II classe sono gli antigeni codificati dalla regione D (loci D/DR, DQ, DP). Contrariamente agli altri, non hanno una distribuzione ubiquitaria ma sono presenti solo su alcuni tipi cellulari in condizioni di normalità (sui linfociti B, su un sottogruppo di macrofagi, sulle cellule di Langherans, sulle cellule endoteliali, ecc.) e compaiono su altri tipi cellulari in condizioni di attivazione (ad esempio, sui linfociti T). Sono presenti allo stato solubile nel sangue circolante. Da un punto di vista molecolare sono costituiti da due catene polipeptidiche, chiamate alfa e beta, di 33.000 e 28.000 dalton di peso molecolare, legate fra loro in maniera non covalente. Entrambe le catene sono codificate da geni della regione HLA, e la differenza di pM è dovuta ad un maggior numero di residui carboidratici presenti nella catena alfa. Queste notizie si riferiscono ai prodotti sierologicamente identificati nella regione D (DR, DP, DQ), mentre non si hanno informazioni sulla natura degli antigeni HLA-D la cui esistenza come entità distinte non è ancora completamente accertata. Estremamente complessa è l'organizzazione genetica HLA-D, suddivisa in sottoregioni contenenti ognuna più geni codificanti per catene alfa e più geni codificanti per catene beta.  E'  possibile che non tutti i geni presenti nella regione D sieno tradotti a livello fenotipico. Nonostante questo e nonostante vi sia la tendenza nella costruzione della molecola antigenica a livello citoplasmatico ad accoppiare catene alfa e beta codificate da una stesa sottoregione, il polimorfismo raggiungibile è, per gli antigeni di classe II, elevatissimo. Bisogna infatti considerare non solo l'elevato numero di loci alfa e beta, ma anche il loro polimorfismo e la possibilità che, nell'individuo eterozigote, per un determinato locus si abbia la costruzione di molecole formate da una catena alfa di una particolare regione e da una catena beta codificata dalla stessa regione ma posta sull'altro cromosoma. Come i geni che codificano per gli antigeni di casse I, i geni degli antigeni di classe II sono costituiti da una serie di porzioni di DNA intervallate da porzioni non codificanti, con una localizzazione che corrisponde ai diversi domini identificati sulle catene polipeptidiche. Geni della risposta immune (Ir). Come nel topo, anche nell'Uomo è stato possibile mappare all'interno del MHC geni che condizionano lo stato di responder e non-respoder di un soggetto ad un determinato antigene. Questi risultati si somo ottenuti in larga misura dallo studio della risposta immunitaria in corso di vaccinazione con antigeni chimici o virali, effettuata a livello di popolazione su vasta scala o studiando la segregazione della risposta immune a livello familiare. La produzione di IgE specifiche anti-RA5, altamente associata all'antigene DR2, è probabilmente l'espressione dell'esistenza di un gene Ir Ra5  specifico nella regione D. Recentemente è stata suggerita l'esistenza, in questa stessa regione, di geni Is (soppressori) responsabili della bassa reattività ad alcuni antigeni batterici (Streptococco) e parassitari (Schistosoma mansoni), come pure ad alcuni particolari allergeni. Anche in questo caso, si tratta di un carattere ereditario trasmesso, secondo le leggi mendeliane, come carattere "dominante". Altri geni HLA-linked sembrano intervenire nel controllo della risposta immune con meccanismi non specifici, influenzando non la qualità, ma l'entità della risposta immunologica. Alcune indicazioni importanti a proposito, sono derivate dallo studio della distribuzione degli antigeni HLA nelle malattie a patogenesi immunitaria e dallo studio della reattività linfocitaria in vitro. Geni coincidenti o linked all'allele D3 sembrano conferire una tendenza a sviluppare autoimmunità d'organo, e in generale una "iperreattività immunitaria di tipo umorale".  Nei soggetti normali DR3 positivi vi è infatti un'aumentata produzione di immunoglobuline da parte di linfociti coltivati in vitro, sia in condizioni di riposo che di stimolazione con mitogeni. Questi stessi soggetti sembrano avere invece una ridotta responsività dei linfociti T  a dosi subottimali di mitogeno e ad alcuni antigeni specifici (ad esempio, il glutine). Il fenotipo DR2 sarebbe invece associato a una ridotta responsività T  ad antigeni virali e, parallelamente, ad una ridotta attività NK, mentre nei soggetti DR2 positivi sarebbe molto sviluppata la reattività immunitaria di tipo ritardato (38)».

2)         « è noto ormai da diversi anni che l'aggressione autoimmune avviene con    maggiore o minore facilità in funzione di alcuni particolari aplotipi appartenenti agli antigeni di II classe del complesso HLA, legati in particolare alle sottoclassi DR e DQ (39) »

3) Nella tabella delle "associazioni tra Antigeni-HLA e malattie" (40), tra le malatie associate ad antigeni HLA-D (antigeni di II cl.) troviamo: artrite reumatoide giovanile (DR8), artrite reumatoide (Dw4/DR4), sindrome di Sjogren (Dw3), lupus eritematoso sistemico (Dw3, Dw2), enteropatia da glutine (DR3),  epatite cronica attiva (DR3), anemia perniciosa (DR5), diabete mellito tipo I (DR4, DR3, DR2), ipertiroidismo di Graves (DR3), insufficienza surrenalica (Dw3), miastenia grave (DR3), sclerosi multipla (DR2), glomerulonefrite membranosa idiopatica (DR3), sindrome di Goodpasture (DR2), nefropatia a IgA (DR2), deficit di IgA nei donatori di sangue (DR3).

4) l'adesione dei leucociti all'endotelio in siti di flogosi si estrinseca in un processo multifase coinvolgente una fase iniziale di legame instabile mediato dalle selectine (la cui espressione sull'endotelio è indotta dai mediatori delle flogosi), seguita dall'attivazione delle B2-integrine leucocitarie indotta da mediatori pro-infiammatori (prodotti dall'endotelio o dai circostanti tessuti infiammati) e che si conclude in una adesione stabile (strong adhesion) mediata dai due sistemi LFA-1/ICAMs  e/o  VLA-4/VCAM-1  (41).

 

A questo punto, tenendo ben conto del precedente punto 4, dobbiamo aspettarci che la precipitazione dei CIC (e fenomeni connessi Dammacco 594:) si verifichi in questo o quell'organo solo quando in esso le APC residenti siano produttrici di Ags-HLA di II cl.

Come si possono spiegare le malattie autoimmuni non organo-specifiche ?

 

Le malattie autoimmuni non organo-specifiche sarebbero « caratterizzate dalla perdita di tolleranza nei confronti di costituenti self  diffusamente distribuiti  e da lesioni anatomo-istologiche estese a diversi organi o apparati (42)».

Rivisitiamo il Lupus Eritematoso Sistemico (LES), considerato il prototipo delle forme non organo-specifiche.

Il LES « è una malattia a eziologia sconosciuta caratterizzata da lesioni tissutali e cellulari provocate da autoanticorpi e dalla deposizione di immunocomplessi patogeni (43)».  In Dammacco troviamo che (44) il LES « è una connettivite caratterizzata sul piano clinico dall'interessamento contemporaneo o sequenziale di più organi e apparati, con manifestazioni che singolarmente non presentano peculiarità significative, ove si eccettui il quadro dermatologico, frequente ma non obbligatorio, che ha dato il nome alla malattia (eritema "a farfalla") e sul piano bioumorale dalla presenza quasi costante nel siero di auto-anticorpi rivolti contro specificità antigeniche nucleari diverse, alcuni dei quali assumono il significato di markers della malattia ». Per l'eziopatogenesi gli Autori concludono: « In definitiva, un'ipotesi globale, verso la quale converge la maggior parte delle evidenze clinico-sperimentali, potrebbe essere la seguente:

a)      una noxa ancora sconosciuta, probabilmente ma non necesariamente virale, con il concorso di una predisposizione genetica e di uno squilibrio ormonale, indurrebbe un'alterazione dei meccanismi immunitari;

b)      quest'alterazione potrebbe interessare primariamente la cellula staminale, i linfociti-T o i linfociti-B, ma il suo effetto sarebbe, in ogni caso, un difetto dell'attività soppressiva dei T-linfociti ed un'attivazione policlonale dei B-linfociti;

c)      l'attivazione dei B-linfociti farebbe capo alla produzione di una varietà di anticorpi che, tuttavia, non esplicherebbero il loro effetto citopatogeno come tali, ma piuttosto sotto forma di immunocomplessi;

d)      alla deposizione di immunocomplessi a livello tessutale farebbero seguito l'attivazione del sistema complementare e l'innesco di una reazione infiammatoria ».

Gli stessi Autori (45) così riassumono le "Alterazioni patologiche":

« Lo spettro delle alterazioni patologiche del LES è altrettanto ampio di quello delle manifestazioni cliniche ed anche in questo caso le singole alterazioni sono relativamente poco specifiche. Le lesioni interessano l'interstizio connettivale dei vari organi e sono caratterizzate fondamentalmente da infiltrati di cellule immunocompetenti ed infiammatorie, da vasculiti necrotizzanti, con depositi di materiale amorfo, con affinità tintoriali simili a quelle della fibrina (onde si parla di necrosi fibrinoide, reperto comune a tutte le malattie da deposizione di immunocomplessi) e dalla presenza, non costante ma indubbiamente più specifica, di corpi ematossilinofili, masserelle morfologicamente e istochimicamente identiche alle inclusionio citoplasmatiche delle cellule LE.  A livello di singoli organi le lesioni del LES possono assumere qualche aspetto particolare:

a)      nella cute sono presenti lesioni vasculitiche ed infiltrati perivascolari abbastanza specifici e solo in caso di quadri tipo Lupus Eritematoso Discoide (LED vi sono alterazioni più caratteristiche come l'ipercheratosi e l'occlusione follicolare; mediante immunofluscenza su materiale bioptico è possibile frequentemente mettere in evidenza depositi di immunoglobuline e complemento a livello della giunzione dermo-epidermica;

b)      nella membrana sinoviale prevalgomo pure le lesioni vasculitiche e gli infiltrati perivascolari, con una proliferazione dei sinoviociti assai meno marcata che nell' AR;

c)      nel rene il reperto è quello di una glomerulonefrite con aspetti non univoci in microscopia ottica ed elettronica ed in immunofluorescenza, a tipo glomerulo-nefrite mesangiale, focale, proliferativa o membranosa:

d)      nel cuore è caratteristica ed era quasi costante all'autopsia in era pre-cortisonica una endocardite verrucosa (tipo Libman-Sachs), a livello valvolare o parietale.

e)      a livello degli organi linfatici si ritrovano quadri di iperplasia follicolare (linfoghiandole), di atrofia associata alla presenza di plasmacellule ed occasionalmente di centri germinativi (Timo) o lesioni vasculitiche con fibrosi peri-arteriosa  "a buccia di cipolla"  (Milza).  

Un aspetto di interesse cardiovascolare è rappresentato dai rapporti esistenti tra l'anticoagulante lupico (AL), le trombosi arteriose o venose e l'aborto spontaneo nel LES.

Lo AL è un anticorpo appartenente alla classe IgG o IgM  che interagisce con gli epitopi della porzione fosfolipidica della trombochinasi. Quest'ultimo complesso è costituito dal Fattore X attivato, dal Fattore V attivato, dai fosfolipidi e dal Ca2+.  In effetti, il termine "AL" è improprio in quanto i fenomeni emorragici si osservano solo in pazienti che manifestino altre alterazioni dei sistemi della coagulazione (ipoprototrombinemia, piastrinopenia o alterazioni della funzionalità piastrinica). Lo AL è un inibitore dei test di coagulazione in vitro che non interferisce con l'emostasi e che può essere presente anche in pazienti affetti da altre condizioni morbose.  In sua presenza viene inibita la formazione del complesso protrombinico attivatore e si ha un allungamento del tempo di protrombina e del tempo di tromboplastina tissutale.  I fenomeni trombotici che possono osservarsi nei pazienti con AL potrebbero essere attribuiti alla presenza di anticorpi anti-prostaciclina, all'interazione dell'anticorpo con i fosfolipidi piastrinici o delle cellule endoteliali. Si ritiene attualmente che questi anticorpi siano relativamente eterogenei e che esista in realtà una famiglia di anticorpi anti-fosfolipidi. Questi anticorpi sono presenti in circa il 50 %  dei pazienti con LES e sono verosimilmente responsabili della falsa positività della VDRL in alcuni di questi pazienti.  Infatti, l'antigene della VDRL è un fosfolipide. La presenza dgli anticorpi può associarsi a trombosi arteriosa o venosa (tromboflebite, trombosi venosa delle gambe, trombosi cerebrale, TIA, embolia polmonare, trombosi della vena renale o della vena centrale della retina)  ed aborti spontanei (primo e secondo trimestre di gravidanza) nelle donne affette da LES.  Si ritiene attualmente che gli aborti spontanei nelle donne affette da LES e con AL  possano essere attribuiti a fenomeni di trombosi della decidua e della placenta. 

 

Questo è il LES, prototipo delle malattie autoimmuni non organo-specifiche. Nelle altre forme (connettivite mista, dermatomiosite, sclerodermia, artrite reumatoide), le lesioni interessano sempre diversi organi e apparati, ma, di volta in volta, si ha un più importante coinvolgimento di questo o quell'apparato (cute, connettivo, articolazioni).

 

 Tenendo presenti le caratteristiche cliniche, anatomiche e funzionali fin qui ricordate, vediamo se e come il potere patogeno specifico di tossine note possa indurre autoimmunità.

Non prenderò in esame, in questa sede, le "autoimmunità indotte da farmaci".

Non mi risulta che ci siano virus dotati di potere mitogeno e attivatore policlonale aspecifico su tutti i linfociti B e T (potere patogeno richiesto dai potenziali fattori inducenti autoimmunità); perciò, rivolgerò la mia attenzione alle tossine batteriche.

Rinviando per nozioni generali e dettagli essenziali sulle principali tossine batteriche a O. E. Varnier (46); precisato che, in teoria, tutti i 'superantigeni' e alcune altre tossine batteriche possono essere chiamate in causa (se ne dovranno dimostrare i meccanismi biochimici, eventualmente); a titolo di esempio e di possibile (probabile) agente eziopatogenetico, propongo le tossi-infezioni da Bordetella Pertussis.

Rinviando per i preliminari ad un mio precedente lavoro (47), vediamo le azioni patogene delle principali tossine pertussiche (52), tenendo anche presente che in una Bordetella Pertussis tra proteine, acidi nucleici, proteoglicani, lipidi e lipopolisaccaridi si calcola che ci siano più di tremila antigeni (53)

TOSSINA PERTUSSICA  (PTx) o Lymphocitosis Promoting Factor (LPF)

E' costituita da due Domini. Il Dominio-A: provoca ADP-ribosilazione della proteina Ginibitrice (Gi ), che regola l’attività di diversi enzimi. Produce attivazione di fosfolipasi; attivazione di canali ionici. L’ADP-ribosilazione delle proteine Gi interferisce con il metabolismo del glutammato (i recettori metabotropici del glutammato sono collegati ai sistemi effettori proprio tramite le proteine G) e con la riparazione delle frequenti piccole rotture del DNA. L’adenilatociclasi endocellulare (non più inibita dalla Gi) produce aumento dell’AMP-c, alterazione dei flussi ionici transmembrana (impossibilità ad aprire i canali del K+) e secrezione attiva di elettroliti e di fluidi.

Il Dominio-B: si fissa in modo irreversibile alle cellule immunocompetenti e alla superficie dei neuroepiteli; produce esposizione di determinanti antigenici estranei (lo stesso Dominio-B) ed esternalizzazione di determinanti antigenici propri prima non esposti (Ags-HLA di II classe); induce attivazione piastrinica.

Il LPF promuove una linfocitosi, che, in vivo, è dovuta soprattutto a ridistribuzione dei linfociti B e T (soprattutto dei T, che rimangono nel sangue circolante perché il fissarsi del LPF alla loro membrana li rende incapaci di rientrare negli organi linfoidi). La PTx (LPF) è uno dei più potenti attivatori policlonali aspecifici timo-indipendenti che si conosca: induce sui linfociti-B un fortissimo stimolo alla produzione di anticorpi, non solo contro la B. Pertusis, ma anche contro altri agenti infettivi con i quali il soggetto sia venuto precedentemente a contatto (anticorpi anamnestici). La PTx è un potente mitogeno; studiandone in vitro l`effetto, in seconda giornata ed in presenza di "cellule accessorie” (Antigen Presenting Cells) si ha proliferazione linfocitaria, essenzialmente T.  L`effetto mitogeno è pari a quello della concanavalina-A  (meccanismi e recettori differenti) e può esser prevenuto con siero anti Thy-1. Dal terzo giorno compare una attività citotossica (che può essere inibita da siero anti-LPF) sia verso cellule estranee (allogeniche), che verso cellule proprie (singeniche): è insorta autocitotossicità. Questa autocitotossicità produce la demielinizzazione, caratteristica della SM: i linfociti-T, preliminarmente attivati  a livello sistemico dal LPF, stravasando nelle placche, vengono a contatto con il tessuto nervoso (mielina compresa) e diventano autocitotossici.  Non si ha demielinizzazione nelle neuropatie senza placche, perché manca il contatto diretto linfociti-T / oligodendrociti-mielina, che si stabilisce solo in sede di stravaso sanguigno (placca).

TOSSINA DERMONECROTICA-CITOTRACHEALE (TDC). Produce inibizione di ATPasi Na+  e K+  dipendenti. Provoca vasocostrizione e necrosi ischemica. Nei neuroni, l'ATPasi: fornisce energia alla pompa ionica che trasporta tre ioni Na fuori e due ioni K dentro la cellula; fornisce l’energia per il trasporto di zuccheri e aminoacidi dentro la cellula. La TDC è specificamente tossica per le cellule ciliate (tali sono embriologicamente i neuroepiteli) in cui blocca la sintesi del DNA (meccanismo sconosciuto); provoca produzione di ossido nitrico.

FATTORE  STROMATO-ADESIVO  DI  PILLEMER (SPA). Si fissa in modo irreversibile al glicosfingolipide GM1  (stromi dei globuli rossi; membrana dei neuroepiteli), che agisce come recettore di superficie e contribuisce al legame della cellula alle altre cellule e al medium extracellulare. Potrebbe spiegare gli anticorpi anti-GM1  della SLA (rivolti contro i glicosfingolipidi di membrana  “modificati antigenicamente “  dalla presenza del fattore SPA).

ADENILATOCICLASI (ADN-c).  È una tossina batterica diversa dall'ADN-c delle cellule eucariote (48). Si fissa ai neuroepiteli tramite un recettore di membrana specifico, il GM1.   Quando l'ADN-c pertussica si fissa alle cellule eucariote attiva una ADP-ribosil-trasferasi, che, in presenza di Ca++, viene attivata dalla Calmodulina endogena e provoca aumento eccessivo di AMP-ciclico. L’aumento del Calcio intracellulare (indotto dall’AMP-c  e  dalle reazioni di ADP-ribosilazione) attiva la NO-sintetasi calcio-dipendente con produzione di monossido di azoto. La B. Pertussis produce una seconda ADN-c (prodotta esclusivamente dalla Bordetella) che inibisce la fagocitosi dei neutrofili  (meccanismo sconosciuto).

EMOLISINA  PERTUSSICA  (49). È un complesso lipidico (contenente ornitina) dotato di attività emoagglutinante. Dopo la rimozione di una porzione della molecola lipidica (acido esadecanoico), diventa una emolisina (è responsabile dell'alone di emolisi che circonda le colonie pertussiche sviluppate su agar-sangue).

 

Abbiamo visto che una importante azione della PT consiste nella ADP-ribosilazione della Proteina-G-inibitrice.

Vediamo qual è il ruolo fisiopatologico delle ADP-ribosilazioni (50 -51).

 L'adenosina-difosfo-ribosio (ADPR) è parte della molecola del nicotinammide-adenin-dinucleotide (NAD; NAD+ se è ossidato), coenzima di numerosi enzimi coinvolti in importanti reazioni di ossido-riduzione. La poli-ADP-ribosilazione è catalizzata dalla Poli-ADPR-polimerasi (PARP): un enzima ubiquitario nelle cellule eucariote, localizzato prevalentemente nei nuclei, particolarmente abbondante nel testicolo, nel cervello, nel timo.

Nella reazione di poli-ADP-ribosilazione si succedono quattro tappe:

1.      L'idrolisi del legame glicosidico tra nicotinamide e ribosio del NAD+ , con liberazione di ADPR e nicotinamide;

2.      Il trasferimento dell'ADPR alle proteine accettrici:

3.      L'aggiunta di una nuova unità di ADPR (e poi di altre) a quella già attaccata alla proteina, con conseguente formazione e sviluppo del poli-ADPR, che può arrivare a consistere di venti unità;

4.      La sintesi del polimero con catene multiple ramificate, che può contenere complessivamente fino a 100-250 molecole di ADPR.

La poli-ADP-ribosilazione è una reazione che comporta, quindi, un notevole dispendio energetico.  Sebbene diversi tipi di proteine nucleari possano essere modificate dalla PARP, uno dei migliori accettori del poli(ADPR) è curiosamente l'enzima stesso.

La PARP (costituita da una singola catena polipeptidica avente un peso molecolare di circa 115 Kd) utilizza il NAD+ come substrato e richiede ioni zinco (Zn++) quali cofattori. Per l'attività dell'enzima è necessaria, inoltre, la presenza di DNA con punti di rottura su singolo o doppio filamento. Questa caratteristica è molto importante per comprendere il ruolo fisiopatologico dell'enzima perché esso viene prontamente attivato quando si verificano danni a carico del DNA. La porzione ammino-terminale della PARP contiene il sito legante il DNA, costituito da due cosiddette "dita di zinco", ossia strutture capaci di chelare ioni zinco. Generalmente tali strutture sono presenti nelle proteine che sono in grado di riconoscere sequenze specifiche del DNA. Invece, le due dita di Zn presenti nella PARP sembrano svolgere ruoli particolari: - uno riconoscerebbe il punto di rottura sul DNA e consentirebbe la formazione del complesso fra proteina e DNA; - l'altro sembrerebbe attivare, subito dopo, il sito catalitico dell'enzima. 

La poli-ADP-ribosilazione è coinvolta in vari processi vitali degli organismi:

1.      replicazione del DNA;

2.      riparazione del DNA;

3.      decondensazione della cromatina;

4.      ricombinazione del DNA;

5.      espressione genica;

6.      differenziazione cellulare;

7.      proliferazione delle cellule;

8.      trasformazione tumorale delle cellule.

Alla base dell'intervento della PARP in tutti questi processi è un fattore comune: un DNA con punti di rottura. Sinteticamente: la PARP, dopo aver riconosciuta una rottura nel DNA, vi si lega e si attiva; le proteine cromosomiche prossime ai punti di rottura (PARP e istoni compresi) vengono ADP-ribosilate e allontanate dal DNA; si ha un rilassamento della superstruttura della cromatina, che facilita l'accesso degli enzimi di riparazione del DNA (DNA-elicasi-A e DNA-topoisomerasi-I); sulle proteine allontanate dal DNA intervengono gli enzimi degradativi che ne staccano il poli-ADPR. Se i danni al DNA non sono stati gravi, il risultato finale di queste reazioni è la ricostituzione di una catena di DNA "normale"; se, invece, i danni sono stati gravi la poli-ADPR attiva i meccanismi dell'apoptosi che portano a morte la cellula (l'eliminazione di una cellula con DNA pesantemente 'alterato' serve a conservare l'identità e la salute di quell'organismo). Un esempio dimostrativo della seconda funzione della PARP (attivazione dell'apoptosi) viene dall'effetto del glutammato che in alte concentrazioni induce la morte dei neuroni del SNC. Si è visto che nelle cellule trattate con glutammato il DNA viene rapidamente frammentato, con conseguente aumento sproporzionato della sintesi dell'ADPR negli acidi nucleici e morte cellulare. L'aumento del poli-ADPR e la successiva morte cellulare non avvengono se, prima del glutammato, le cellule sono incubate con inibitori della PARP. Si pensa che i danni al DNA dei neuroni trattati con glutammato siano indotti dal monossido di azoto (NO), prodotto dall'enzima NO-sintetasi: poiché l'attività della NO-sintetasi dipende dalla concentrazione intracellulare di ioni Ca++ (di cui il glutammato induce un aumento) è possibile che la morte neuronale da glutammato sia mediata dal monossido di azoto.

 

Conoscendo questi meccanismi di biologia cellulare, torniamo alle tossine pertussiche.

 

Abbiamo visto che la poli-ADP-ribosilazione si svolge in quattro tappe. Vediamone meglio le prime due. La mono-ADP-ribosilazione è catalizzata dalla mono-ADP-ribosil-transferasi (ADPRT). Questo enzima idrolizza il NAD+ in nicotinammide e ADPR, poi trasferisce quest'ultimo alle proteine accettrici, catalizzando in tal modo solo le prime due reazioni della PARP. Mentre l'unico enzima capace di formare polimeri di ADP-ribosio è la PARP, la reazione di mono-ADP-ribosilazione può essere catalizzata da diversi enzimi. Alcuni batteri producono tossine che, una volta entrate nelle cellule bersaglio, catalizzano la reazione di mono-ADP-ribosilazione a carico di proteine di importanza fondamentale per le cellule, con effetti che portano spesso alla morte delle cellule infettate. Queste tossine modificano specificamente un amminoacido presente nelle proteine cellulari (arginina, cisteina, istidina e asparagina). Agiscono in questo modo (ma coinvolgendo proteine-G diverse, quindi con effetti biologici diversi da tossina a tossina) le tossine: colerica, botulinica, pertussica, difterica, dello Pseudomonas aeruginoso, del Bacillus cereus e dello Stafilococco aureo. In tutti i casi, il risultato finale è che le proteine modificate dalla ADP-ribosilazione batterica non possono essere più polimerizzate; viene a mancare la possibilità di riparare i danni al DNA (vedi sopra, la funzione della PARP). La mono-ADP-ribosilazione della proteina-Gi ad opera della tossina pertussica (che fissa una molecola di ADPR a un residuo di cisteina della proteina Gi ) provoca un aumento incontrollato di AMP-c, che, tra le altre funzioni, è deputato alla regolazione dell'osmosi attraverso le membrane.

 

Sappiamo che per ottenere l'effetto mitogeno del LPF devono essere presenti "cellule accessorie", anche note come "Antigen Presenting Cells" o APC.  Della PTx (LPF) abbiamo visto l'essenziale; per completezza aggiungo solo che la tossina PTx ha potere mitogeno e attivatore policlonale (in presenza di APC) solo sui linfociti e sui macrofagi maturi; non ha azione attivatrice né sui timociti, né sulle cellule emopoietiche del midollo osseo (52). 

Dobbiamo aspettarci che:

A)     Nei soggetti con "cellule dendritiche produttrici di Antigeni-HLA di II classe"  una re-infezione pertussica comporti la produzione di anticorpi specifici, la formazione di CIC (TossineBP/anticorpi specifici), l'espressione di molecole di adesione da parte delle cellule immunocompetenti circolanti e da parte degli endoteli microvasali di un dato organo, il precipitare dei CIC in quell'organo, il diretto contatto dei linfociti-T  (attivati e resi autocitotossici dalla PTx) e dei linfociti-B con il tessuto specifico di quell'organo: si avrà autocitotossicità e produzione di auto-anticorpi; insorgerà l'autoimmunità organo-specifica. Nelle tossi-infezioni pertussiche (re-infezioni) il protratto passaggio nel sangue delle tossine (LPF, in particolare) e la presenza di APC negli organi coinvolti spiegano ampiamente l'autocitotossicità nelle malattie autoimmuni organo-specifiche considerate. Le associazioni e, soprattutto, la mancata associazione di tireopatie autoimmuni (malattie organo-specifiche) con malattie autoimmuni non-organo specifiche propongono come antigene-bersaglio nelle malattie organo-specifiche l'epitelio ghiandolare (non presente nell'artrite reumatoide, nel LES e nelle altre collagenopatie), normalmente non accessibile ai linfociti-T  circolanti  "attivati" .

B)     Nei soggetti con  "cellule dendritiche non-produttrici di Antigeni-HLA di II classe" una re-infezione pertussica comporti la produzione di anticorpi specifici, la formazione di CIC (TossineBP/anticorpi specifici), la mancata espressione di molecole di adesione degli endoteli microvasali tissutali, la mancata precipitazione dei CIC in un organo determinato, l'insorgenza di malattia non organo-specifica.

 

Per verificare se nelle malattie autoimmuni sia veramente in causa la Bordetelle Pertussis e

con la prospettiva di disporre di una terapia eziologica specifica sicuramente efficace, in tutti i pazienti affetti da malattie "autoimmuni" è doveroso verificare se sia dimostrabile una tossi-infezione pertussica ricercando in E.L.I.S.A. gli anticorpi anti Bordetella Pertussis.

 

DIAGNOSI EZIOLOGICA.

                                                   CONCLUSIONE

Le osservazioni precedenti dimostrano che tra le malattie autoimmuni organo-specifiche e quelle non organo-specifiche ci sono molti punti in comune. Non emerge il "fattore individuale, determinante" per il quale, uno stesso "fattore esogeno scatenante, ambiantale" nel singolo individuo condiziona l'insorgenza di una forma organo o non organo specifica.

La mia ipotesi è che il fenotipo "APC tissutali specifiche produttrici,  o non-produttrici, di Ags-HLA di II cl."  non sia ristretto al solo SNC; mi aspetto, cioè, che in ogni organo le APC locali (tessuto-specifiche) possano essere produttrici, o non-produttrici di Ags-HLA di II cl., condizionando la possibilità che in quell'organo si verifichi, o no, la precipitazione di eventuali complessi immuni circolanti. Ne deriverebbe che le malattie autoimmuni organo specifiche potrebbero manifestarsi solo in soggetti con APC organo-specifiche produttrici di Ags-HLA di II cl.; le malattie autoimmuni non-organo specifiche si manifesterebbero nei soggetti con APC d'organo non-produttrici di Ags-HLA di II cl.

Ribadito che, a mia conoscenza, nessun'altra tossina ha il potere mitogeno della PTx,  possiamo schematizzare la posssibile ezio-patogenesi delle malattie auto-immuni ed evidenziare le differenze patogenetiche fondamentali esistenti tra malattie autoimmuni organo-specifiche e malattie autoimmuni non organo-specifiche.

 

Soggetto con difetto della barriera muco.ciliare  (condicio sine qua non)

 

Infezione da agente infettivo dotato di forte potere patogeno: attivatore policlonale aspecifico timo-indipendente dei linfociti-B e mitogeno sui linfociti-T

(Lymphocytosis Promoting Factor, LPF o PTx)

¯

        Attivazione e mitogenesi fino ad autocitotossicità  (indotte in circolo dalla PTx):

¯

A)    Autocitotossicità che insorge nei tessuti (organi e apparati) in cui per la presenza di APC produttrici di Ags-HLA di II cl. si son potuti verificare:             

-         depositi di CIC

-         produzione di Citochine

-         infiltrati linfomonocitari

-         "contatto diretto"  di linfociti attivati con gli antigeni di membrana di cellule normalmente non  "esposte" .

     Abbiamo le 'Malattie Autoimmuni Organo-specifiche':

                       Sistema Nervoso Centrale nella SM

                      Tiroide in M. di Basedow

                      Timo in Miastenia Grave

                      Stomaco 

                      Pancreas

                      Paratiroidi

                      Surrene

                      In alcuni soggetti: nei tessuti a flusso ematico rallentato (vedi: anatomia delle ghiandole endocrine) i CIC  "irriteranno per sfregamento"  le pareti dei piccoli vasi sanguigni; se le cellule APC tissutali saranno produttrici di Ags-HLA di II cl., gli endoteli microvasali esporranno le molecole di adesione; seguirà la precipitazione dei CIC ed il contatto diretto delle cellule-T (diventate autocitotossiche per azione della PTx) con gli epiteli ghiandolari: si potranno avere le Sindromi Poliendocrine.

 

B) Autoimmunità non organo-specifica che insorge in soggetti in cui le cellule APC tissutali (fisse) non sono produttrici di Ags-HLA di II cl. e  non si verificano esternalizzazioni di antigeni abitualmente non esposti:

     Abbiamo le forme di 'Malattie Autoimmuni Non Organo-specifiche':

               LES (vedi: Tossina pertussica emoagglutinante-emolisina, in La Placa;

                                  Autoanticorpi anti-eritrociti  (Harrison: 1765) e Fattore-SPA)

               Connettiviti

               Sclerodermia              

               Gammapatie monoclonali

               Altre (vedi sopra)

 

IMPLICAZIONI

 

1)         Sapendo che la tossi-infezione da Bordetella Pertussis può essere curata sempre efficacemente con l'etilsuccinato di eritromicina (EritrocinaR), nelle malattie autoimmuni diventano doverosi la ricerca degli anticorpi anti-BB (con metodiche adeguate), il trattamento antibiotico specifico ed un ciclo di sei-otto sedute di plasmaferesi (da effettuare nel primo mese di trattamento antibiotico).

2)         Sapendo che la sierodiagnosi di infezione da Bordetella è tecnicamente alla portata di tutti i Laboratori e sapendo che si tratta di un semplice esame del sangue (di bassissimo costo e praticabile ambulatoriamente), chiedo a tutti i Medici una obbiettiva verifica ed eventuali osservazioni.

 

 

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Aggiornamento: Luglio 2007